Intervista con: Marco Piccinelli, co-autore di Calcio e Martello

Calcio e politica possono andare d’amore e d’accordo, non tanto per le fedi, quanto per gli intrecci, a volta pericolosi, spintisi oltre il rettangolo verde. E personaggi che poi hanno scritto la Storia, non sono rimasti immuni al fascino di un pallone che rotola, cercando di influenzarne la traiettoria o di seguirla secondo il personale interesse.

Conosciamo allora Marco Piccinelli, co-autore di Calcio e Martello assieme a Fabio Belli, edito da Rogas Edizioni.

 

Come nasce la passione per il calcio: presentati al pubblico di barcalcio.net e perché il calcio è la tua passione

Mi chiamo Marco Piccinelli, sono giornalista e studente universitario.  La passione per il calcio, in realtà, nasce recentemente. Non mi ha mai appassionato il pallone di cui si parlava nel periodo liceale, di cui si dibatteva il lunedì il giorno dopo la domenica di campionato, in cui ci si accapigliava per il rigore non dato e per “il moviolone”, di biscardiana e maccio-capatondiana memoria. Mi piaceva il “calcio di nicchia”, amavo il Venezia quando era in Serie A (ero piccolissimo, un bimbetto delle elementari) e sono rimasto fedele a quella squadra, a tutte le vicende che sono accadute e ripetute, come i fallimenti e le ripartenze della società, appassionandomi, ora, alle vicende del Venezia 1907, squadra di Terza Categoria veneta che ha acquisito il simbolo del centenario (quello della salvezza centrata da Paolo Poggi, per capirci) e gli ha dato nuova linfa e più ampio respiro, nonostante la categoria che occupa. Ho avuto la fortuna di collaborare con una testata regionale di sport dilettantistico e giovanile (il Nuovo Corriere Laziale) e questo non ha fatto altro che aumentare la predilezione per gli argomenti “di nicchia” e, in questo caso, al “calcio di nicchia”, dilettandomi con partite di Eccellenza, Promozione, Prima, Seconda e Terza Categoria.

 La presentazione di Calcio e Martello

Calcio e politica: perchè hai voluto approfondire il legame o scoprirlo 

Prima, per la verità, è arrivata la politica: ho iniziato a seguire qualche riunione di qualche collettivo studentesco nel periodo del liceo, di quelle “formazioni” studentesche che nascono e muoiono nel giro di un anno scolastico. In quel periodo mi sono avvicinato alle idee del comunismo, ho iniziato a militare nel PdCI di Tor Bella Monaca (nel ‘fu’ Partito dei Comunisti Italiani) e ora nel Partito Comunista e nel Fronte della Gioventù Comunista.

Il legame fra le due tematiche è avvenuto quasi naturalmente: quando mi sono avvicinato al FGC il movimento del calcio popolare a Roma era dominato da una squadra di Terza Categoria, l’Ardita San Paolo (successivamente ‘Ardita’), gestita come si confà ad una squadra di calcio popolare e popolata (chiedo scusa per il bisticcio) da compagni del Fronte. Partecipavano alla vita della squadra, andavano a sostenere la squadra, gremivano i gradoni di qualsiasi campo e macinavano chilometri per seguire i propri colori. Banale, verrebbe da dire, ordinario per qualsiasi ultrà o sostenitore della propria squadra. L’Ardita, però, era diversa, era davvero un’altra cosa. Sfortunatamente ho vissuto solo gli ultimi due anni di vita della squadra, il cambiamento del nome da Ardita San Paolo ad Ardita, dunque lo spostamento dal quartiere a Pietralata, ma le emozioni che ho vissuto sui gradoni del “Nicolino Usai” le porterò sempre con me. I sabati e le domeniche di questa stagione calcistica non sono più gli stessi senza i giallo-neri all’Usai. Ma tant’è…

 Marco Piccinelli, l'autore

Perchè nell’opera l’Europa dell’Est è al centro dei tuoi racconti

Il libro, scritto con l’amico e collega Fabio Belli, ‘Calcio e Martello’, tratta del calcio al di là della cortina di ferro, per così dire. Il calcio socialista, quello che ci interessava trattare e di cui abbiamo scritto, è stato un calcio considerato ‘minore’ fin dai tempi del mondo diviso in due, tra capitalismo e socialismo. Il calcio socialista, tuttavia, non è stato inferiore a nessun altro movimento occidentale: nel libro, ad esempio, abbiamo avuto modo di raccogliere le testimonianze dirette di chi ha giocato contro squadre della Germania Est, Oddi (Cesena – Magdeburgo), De Agostini (Juventus – Karl Marx Stadt) e Pruzzo (Roma – Carl Zeiss Jena), ebbene tutti e tre hanno avuto la stessa opinione: i giocatori tedeschi orientali non erano inferiori a nessuno. Nel caso di Pruzzo, poi, è ancora più definitiva la sua opinione, dato che ci ha detto, semplicemente: “erano più forti”, mettendo a tacere tutto quel che si è scritto il “dopo” della partita di ritorno (Carl Zeiss Jena – Roma) che ha visto l’eliminazione dei giallorossi dalla competizione internazionale. Se si calcola, poi, che a cavallo della dissoluzione del socialismo, tra il 1989 e il 1990, il Karl Marx Stadt, nient’altro che una squadra da metà classifica nella DDR Oberliga ha tenuto testa alla Juventus di De Agostini e Schillaci passando addirittura in vantaggio al Delle Alpi, ci si rende conto della dimensione dello “scontro” in atto.  Dico questo perché nei paesi socialisti ogni sport aveva pari dignità e considerazione: chi praticava atletica leggera aveva la stessa importanza (anzi, forse ne aveva di più) di chi dava calci ad un pallone. Esattamente il contrario di quel che accade in occidente. Politicamente e calcisticamente il socialismo era davvero “in espansione”, come avrebbe detto Max Collini (Spartiti/OfflagaDiscoPax): Sparwasser, Yashin, Lobanowskij, la Jugoslavia, l’Ungheria, gli arbitraggi “fantasiosi” nei mondiali dell’86 in URSS-Belgio che hanno impedito la vittoria definitiva del socialismo sul capitalismo (sia a livello di immaginario politico che calcistico/sportivo) sono state storie che l’occidente ha rimosso e che ha bollato come “inferiori”.
Il nostro piccolo lavoro, diciamo, si può incasellare come “manuale di primo approccio”, di “entry level” (per dirla all’inglese) di quel che fu quel mondo e di come l’occidente ha tentato di sottodimensionare  il movimento calcistico socialista.

 

Dopo questo libro quali spunti andrai ben presto (ne sono convinto) ad appronfondire

Di spunti ce ne sarebbero moltissimi, a partire dalle altre storie che non abbiamo inserito nel libro, come la vittoria della Nord Corea Socialista sull’Italia; la vicenda del portiere Dukadam dello Steaua Bucarest che parò quattro rigori di fila nella partita contro il Barcelona a Siviglia vincendo la Coppa. Quest’ultima vicenda, ad esempio, è stata strumentalizzata dalla propaganda occidentale come mai prima, quasi.

 

Se potessi schierare idealmente una formazione composta da politici, di qualunque epoca, chi faresti giocare ed in che ruolo

Bella domanda.. Non sono molto bravo a far conciliare tattiche/calcio/politica ma un ruolo sicuramente ce l’ho ben chiaro: Pietro Secchia e Antonio Gramsci in attacco. In difesa metterei Lussu, Cossutta, Ingrao. Al centro campo non saprei davvero chi inserire. In porta certamente Spadolini, ma più per la “stazza fisica che per il partito rappresentato.

 

Calciatori, allenatori, presidenti, tifosi: una frase per identificare ciascuna di queste componenti del mondo del pallone

Non saprei ridurre a una frase questi quattro mondi così diversi tra di loro, di certo il mondo del calcio (così come globalmente) è cambiato molto. I calciatori, una volta, erano persone come Socrates o Yashin, modelli da seguire, o miti per una consistente parte politica come Sparwasser. Ora il capitale controlla (più che “comanda”, semplicemente) le vite di calciatori e allenatori imponendo un modello di vita pubblica e privata fatta di eccessi (penso ai contratti miliardari e alla tendenza di arricchirsi sempre di più). I presidenti agiscono sempre più come grandi capitalisti, dato che le società che gestiscono sono quasi tutte quotate in borsa. I tifosi ora non sono più “tifosi” nel senso stretto del termine ma “clienti”.

 

Cosa rappresenta per te l’espressione calcio moderno: modernità, abuso di un termine, verità che non ti appassiona.

Sono arrivato a questa domanda avendo già scritto, forse, o avendo fatto capire, quel che significa per me “calcio moderno”: un modello di calcio che non solo non mi appassiona ma che è sostanzialmente la rovina stessa del movimento calcistico. Il calcio dei grandi capitali non potrà durare così tanto, non con gli interessi milionari che circolano dietro alle società calcistiche. Il capitalismo, lo diceva anche Lenin, è destinato all’autodistruzione. Ora, magari questo sistema calcistico (e politico) avrà una fine tra centinaia di anni, o io non ne vedrò la fine e a causa di queste parole sarò tacciato di stupidità e simili, ma è quel che credo: il capitalismo è insostenibile e il suo riflesso nel mondo del calcio, il cosiddetto, calcio moderno, è destinato all’entropia.

 

Davide Bernasconi

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