Marcello Lippi nato a Viareggio il 12 aprile 1948, è un allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo difensore.
Pur avendo militato in Serie A in diverse squadre, Sampdoria in primis, ha colto i suoi successi in panchina, guidando la Juventus alla conquista di 5 scudetti, una Champions League ed una Coppa Internazionale mentre per noi italiani il trionfo avvenuto nella notte di Berlino nell’estate 2006, rimane un’impresa incredibile che ancora oggi ci lascia a bocca aperta per come avvenne, in un periodo nefasto per il calcio italiano per via dello scandalo di Calciopoli che colpì, in primis, proprio la sua ex squadra.
Frasi famose di Marcello Lippi
Con il passare degli anni si cresce, si matura, si migliora e ci si accorge anche di aver sbagliato. Tanti errori li ho fatti. Me ne rendevo perfettamente conto. Poi si cambia.
Oggi viviamo nell’era della specializzazione. Non esiste il tuttologo, ma ognuno è competente in qualcosa.
Il mio papà odiava il potere e, di conseguenza, gli Agnelli che, all’inizio degli anni Novanta, ne erano l’emblema. Per questo motivo quando nel 1994 sono diventato allenatore della Juventus mi sono recato al cimitero in preda ai sensi di colpa e ho pregato l’anima di mio padre, morto tre anni prima, di accettare la mia scelta.
I brasiliani sono l’essenza del calcio, sfornano 1500 giocatori all’anno, però hanno vinto appena un mondiale più di noi. E se i rigori di Pasadena nel ’94 fossero andati in un altro modo, adesso noi avremmo cinque trofei e loro quattro.
Un allenatore, a seconda del tipo di squadre che più allena, è più istruttore o più gestore di risorse umane. Nei grandi team prevale la seconda opzione. Sicuramente aver giocato ad alti livelli aiuta, perché si conoscono le dinamiche e la psicologia della grande squadra e si sa come si ragiona quando si vince o si perde.
Io, fossi il presidente, manderei via subito l’allenatore e poi prenderei i giocatori e li attaccherei tutti al muro e gli darei dei calci in culo a tutti!
Vincere è sempre importante ed è raramente frutto del caso. Puoi essere
fortunato una volta, due, ma le vittorie sono sempre il frutto di un lavoro, di un gruppo formato al quale si contribuisce come allenatore.
Un gruppo dei migliori giocatori non fa necessariamente la migliore squadra.
Ho militato per quarant’anni nel mondo del calcio. Non potrei mai fare politica. Anche di recente mi hanno chiesto di impegnarmi mettendoci la mia faccia, ma non ci penso proprio.
Non voglio più allenare, sono anziano. Il Guangzhou Evergrande avrà un nuovo tecnico la prossima stagione. Seguirò lo staff con il ruolo di direttore tecnico.
Non è il tipo di gioco ad essere fondamentale. La cosa più importante è avere 23-24 giocatori, tutti bravi. Questo è decisivo: che siano tutti bravi. Poi giocherai il calcio che meglio si adatta alla squadra che mandi in campo.
Sono convinto non solo che il calcio faccia di tutto per sconfiggere il doping, ma che il doping nel nostro sport non esista.
Il mondo del calcio è come tutte le categorie della società: ci sono i buoni e i cattivi.
Ogni ct ha la sua croce. Ognuno è libero di sponsorizzare il giocatore che vuole, è normale che ci siano pressioni da parte della stampa e dell’opinione pubblica.
Gli atleti che giocano nella Nazionale a prescindere dai vincoli relativi ai rispettivi club di appartenenza, manifestano in generale una grande disponibilità per qualsiasi problema legato al sociale e sarebbero pronti a mettersi al servizio anche di cause di ordine politico-imprenditoriale.
Con il passare degli anni si cresce, si matura, si migliora e ci si accorge anche di aver sbagliato. Tanti errori li ho fatti. Me ne rendevo perfettamente conto. Poi si cambia.
Se qualcuno mi confessasse di essere gay, gli direi di vivere a pieno questa realtà e, con intelligenza, di non farsi condizionare e di non modificare i suoi atteggiamenti con i compagni. Per finire, gli suggerirei di essere ligio alla sua professione e di fare ciò che vuole nella sua vita privata.
Quando alleno, non mi piace fare il padre o assillare. Sono una guida tecnica, ma ci tengo che i calciatori sappiano che, se c’è qualcosa che vogliono confidarmi, io sono a loro disposizione.
I giocatori chiamati in nazionale sono tutti calciatori intelligenti, che si sacrificano per la squadra. Altri che non sono qui invece sono galli nel pollaio.