Gianpiero Boniperti è stato la Juventus e la Juventus non poteva essere così se non anche grazie a quell’uomo che ha percorso gran parte della sua vita in bianconero, prima come giocatore e poi come presidente, con quel savoir faire che la famiglia Agnelli ha sempre gradito ed apprezzato, tanto da farlo diventare presidente ad honorem.
Nel corso della sua vita all’ombra della Mole, i successi non si contano, avendo vinto tutto sia in Italia che in Europa, oltre ad aver gestito una società con i principi ancora di un tempo. Ecco allora le sue frasi più celebri.
Frasi famose di Gianpiero Boniperti
Alla domanda: «Perché la Juve è così antipatica»] Lo è adesso, lo era quando la dirigevo io, lo sarà in futuro. L’invidia rappresenta una medaglia al valore. E comunque se mezza Italia tifa Juve, ci andrei piano con le etichette. Di sicuro, è una società che divide. O con lei o contro di lei. La sua forza, il suo fascino.
La Juve non è soltanto la squadra del mio cuore. È il mio cuore.
C’è un’eleganza che non è deliberata, ma che si acquisisce o s’interpreta una volta che viene indossata quella meravigliosa divisa.
I tiri più belli riescono quando non ci pensi, oppure quando sbagli ma la palla va nel sette.
Una testa senza capelli è più leggera anche per il calcio. E’ giusto presentarsi in pubblico con un aspetto decente.
La Juve, il sogno della mia vita. La sognavo davvero. Perché io, che portavo all’occhiello il distintivo bianconero, avevo in quegli anni un solo desiderio: giocare una partita di serie A con la maglia bianconera.
Del Piero? Mi ricordo quando andai a vederlo e ho subito intravisto che aveva la stoffa del campione. Però sono anche stato fortunato nella scelta. Ci sentiamo ancora spesso e sono molto contento per lui. Finché è Alex a eguagliarmi, sono felice…
[Sul derby di Torino] Anche stavolta mi sistemerò davanti alla televisione e anche stavolta maledirò il destino che mi obbliga a soffrire per il derby. È sempre stato così, in vita mia, anche se ancora oggi sono il giocatore che ha segnato più reti in questa sfida: 14. E allora dovrei essere un ottimista a priori. Ma il derby mi consuma. Amo troppo la Juve e ho così rispetto del Toro che non può essere altrimenti. Anche adesso che la differenza di valori è cresciuta, rispetto a quando guidavo il club, quando i granata cercavano di competere con noi anche per lo scudetto. Ma il derby fa storia a sé.
La Juve è una fede che continua a essermi appiccicata addosso. Sono da compatire quelli che tifano per altri colori, perché hanno scelto di soffrire. Sembrava una battuta, invece lo pensavo e lo penso tutt’ora.
Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta.
Ancora adesso, se debbo pensare al calciatore più utile ad una squadra, a quello da ingaggiare assolutamente, non penso a Pelè, a Di Stefano, a Cruyff, a Platini, a Maradona: o meglio, penso anche a loro, ma dopo avere pensato a Mazzola.
[Su Alessandro Del Piero] Mi ricordo quando andai a vederlo e ho subito intravisto che aveva la stoffa del campione. Però sono anche stato fortunato nella scelta. Ci sentiamo ancora spesso e sono molto contento per lui. Finché è Alex a eguagliarmi, sono felice…
[Su Roberto Bettega] Roberto è stato uno dei giocatori che hanno fatto la storia bianconera […] un grande campione, un simbolo.
[Sul «pragmatismo» della Juventus] […] La Juve degli Agnelli e della FIAT: di qui il concetto di fabrica, di produzione, assemblare e vincere l’utile preposto al dilettevole. Un marchio che, credo, ho contribuito a imporre.
A diciannove anni era già favoloso, il nostro Alex, e non è cambiato. […] L’ultimo scudetto della Juve l’hanno vinto lui e Peruzzi. […] Attaccano lui per fare male alla Juve, anche a me succedeva, per questo durante il riscaldamento uscivo da solo sul campo e mi prendevo gli insulti, ero una specie di parafulmine. E so che una squadra e un giocatore si giudicano alla quarta di campionato, non prima.“