Fabio Panchetti, voce sui canali Sportitalia (boxe) e Eurosport (ciclismo), racconta al microfono virtuale di Barcalcio.net come la sua passione sia diventata lavoro. Ed in particolare deve ringraziare Francesco Moser e Vito Antuofermo di averli potuti “incontrare” nella tenera età, quando si sceglie per chi tifare.
Pronti via, saliamo sul ring, ti lancio subito una provocazione dopo il gong.
Se potessi costruire il pugile ideale, quale colpo prenderesti a prestito dai grandi campioni
Bella domanda, se dovessi idealizzare un super pugile sceglierei le gambe di Sugar Ray Robinson, seppure sia un boxeur d’altri tempi, ma dai filmati che ho visto era impressionante, sapeva fare dei passi che quasi anticiparono la break dance, strisciando i piedi per terra, muovendosi in maniera dinamica.
Il carattere e la grinta di Vito Antuofermo che è stato il mio idolo assoluto come pugile, ed anche la faccia, il suo volto, per il modo in cui sapeva soffrire e lottare sul ring.
Come colpo risolutore prenderei il flash di Giovanni Parisi che ritengo l’ultimo dei grandissimi del pugilato italiano e l’ultimo italiano a poter salire sul ring e vincere l’incontro con un colpo solo, un pugile dal repertorio assolutamente completo, con così tanti e diversi colpi risolutori, dal gancio al sinistro.
Come potenza complessiva, devo ammettere, io non sono mai stato un grande fan di Mike Tyson, preferisco prendere a prestito la potenza di Marvin Hagler, peso medio e dunque non con quella forza devastante che può avere un peso massimo; Hagler lo metto davanti a Monzon in una classifica virtuale solo perché “l’ho vissuto di persona” vedendolo combattere mentre ho potuto apprezzare il pugile argentino soltanto tramite filmati di repertorio.
L’equazione fame=pugilato è tuttora valida?
E’ certamente una cosa che aiuta, sebbene non sia più una conditio sine qua non. Il mondo per fortuna è un po’ cambiato, non c’è più solo la fame che spinge a diventare pugile. Certo, rimane qualcosa in più, una motivazione maggiore per emergere. A tal proposito, non ricordo esattamente chi lo disse, mi pare Lou D’Uva, che i migliori pugili si trovano in carcere o nel ghetto. E’ parzialmente valida, spero che con il passare del tempo l’equazione perda significato ed è quello che sta un po’ succedendo negli ultimi tempi.
La boxe è una metafora della vita?
Assolutamente si, c’è tutto, si è soli contro sé stessi e contro il nemico, dai guai bisogna tirarsi fuori da soli in qualche modo ed il carattere emerge proprio nei momenti di difficoltà; è un confronto continuo ma leale, con delle regole che andrebbero sempre rispettate, anche nella vita di tutti i giorni. Fortunatamente è la metafora di una buona vita con le regole al primo posto. Purtroppo nella vita reale, e mi limito all’Italia, non accade quasi mai.
Cosa significa aver trasformato le tue passioni in lavoro.
Si vede che era nel mio destino. L’approccio con il ciclismo era dovuto al fatto in famiglia le due ruote sono sempre state importanti: mio nonno correva in bicicletta, sebbene io non l’abbia mai conosciuto, mentre mio padre era un grande appassionato di ciclismo. Un giorno, ero un bambino di cinque anni, mi portò in Piazza della Signoria a Firenze per assistere alla partenza del Giro di Toscana, parlandomi fin da subito di Francesco Moser, come di un giovane campione e che in quell’anno indossava la maglia di campione d’Italia. Al raduno pre-gara mio padre me lo indicò ed io, piccino com’ero, non potei che chiamarlo e gridare il suo nome in maniera spontanea. Affettuosamente Francesco mi prese in braccio e stetti in compagnia di quel grande campione per qualche minuto proprio prima della partenza.
Da notare che quell’anno la corsa arrivava a Firenze nei pressi di casa mia, dove abitavo ai tempi dell’infanzia, così che potei vedere il passaggio dei corridori da vicino. Pochi minuti dopo, qualcuno ci avvertii che proprio Francesco aveva vinto la corsa; il caso volle che alla sera andammo in una pizzeria, un locale nei pressi della nostra abitazione, una consuetudine che avevamo il sabato e chi mi trovai? Tutta la squadra a festeggiare la vittoria con Francesco in prima fila; ovviamente ne approfittai per stare ancora qualche minuto vicino a Moser che, da quel momento, divenne il mio idolo, un giorno devo dire che mi segnò indelebilmente sotto ogni profilo. L’anno dopo iniziai a correre in bici, perché volevo essere come Francesco Moser.
Per quanto riguarda la boxe, è cominciato appena due anni più tardi. Il primo match che vidi aveva come protagonista Mohammed Alì, di cui avevo letto sui giornali le imprese. Ma a “farmi malato” di pugilato fu l’italo-americano Vito Antuofermo che doveva affrontare per il titolo mondiale l’americano Marvin Hagler (1979 ndr), di cui vidi sulla Gazzetta dello Sport la foto. Vidi l’incontro la notte con mio padre e ne rimasi affascinato, senza mai provare paura o timori, sebbene fu un incontro cruento nel quale Antuofermo fu letteralmente massacrato di colpi (il match terminò poi in parità).
E la passione è proseguita nel corso degli anni. Ebbi solo una “pausa” per qualche anno in seguito a miei studi universitari negli Anni Novanta che mi allontanarono temporaneamente. Poi per fortuna grazie al lavoro, sono tornata a viverla e seguirla a 360° gradi quotidianamente.
Quale pugile, a tuo avviso, avrebbe potuto fare il ciclista e viceversa
Un ciclista che avrebbe potuto fare il pugile per il suo carattere, la voglia di non arrendersi mai, senza dubbio Claudio Chiappucci, un corridore con un grandissimo animus pugnandi, non eccezionali mezzi tecnici, ma sempre pronto a rischiare pur di vincere.
Nel caso opposto, sono tentato di dire Daniel Bruzzese, che da giovane fu ottimo corridore, vincendo tra l’altro il titolo nazionale allievi e compagno di squadra di Riccardo Riccò. Per il resto avrei visto bene Marvin Hagler: la sua potenza esplosiva quando indossava i guantoni, se potessi trasporla idealmente al ciclismo, mi fa ricordare Fabian Cancellara. Marvin aveva uno sguardo tagliente, sembrava un puma, una lince, credo che vincesse qualche matches già solo nel faccia a faccia con lo sguardo prima di salire sul ring.
Questione giurie: si arriverà ad un sistema elettronico?
Più si va avanti e più lo sport ha bisogno di credibilità e di certezze assolute. Se esistesse una macchina che potesse riscontrare e registrare tutti i colpi, distinguendoli con precisione, mi ci affiderei fin da subito. Perché la discrezionalità è uno dei mali dello sport e della boxe in particolare. Mi sconvolgono le giurie scandalo che alle Olimpiadi, purtroppo, si verificano in ogni edizione. Trovare un “occhio di falco” che sia giudice neutrale sarebbe la panacea contro alcuni verdetti assurdi.
Torneremo presto a vedere le grandi riunioni di boxe in Italia?
Credo sia più un discorso economico, con una crisi da superare, al momento, troppo pesante. Parlando con gli organizzatori in questi anni, spesso li ho sentiti lamentarsi per la carenza di pubblico. Tuttavia ho sempre ricordato che non è soltanto la boxe a soffrire le arene vuote, tutti gli sport, tranne qualche disciplina in controtendenza, registrano netti cali nelle presenze. D’altronde organizzare costa e non si possono certo regalare i biglietti.
Le speranze della boxe italiana in ottica Tokyo 2020
Uno su cui dobbiamo puntare ed è già mentalizzato in ottica Olimpiadi è Guido Vianello, il nostro supermassimo che sta crescendo molto di match in match, nonostante sia molto alto ha notevole agilità, con un pugno che sa fare molto male. Un altro prospetto che reputo interessante è Michael Magnesi, sebbene professionista, i regolamenti attuali permettono la disputa dei giochi olimpici. Tuttavia non ne conosco nei dettagli i suoi programmi agonistici per il futuro.
World Boxing Series, il tuo giudizio
A me è sempre piaciuta, la reputo una novità interessante nel mondo del pugilato; ho anche avuto il piacere di commentarla fin dalla prima edizione. Era una novità, che va presa per quello che è, poi il mondo del professionismo si è “un po’ risentito” temendo una concorrenza ed un’invasione di campo. Ma lo ritengo un interessante esperimento, che è servito a tanti ragazzi per capire se pronti ad entrare nel mondo del professionismo in quanto il livello tecnico è più elevato. Si sono visti ed apprezzati anche boxeur di qualità, uno su tutti è l’ucraino Sergij Derev’jančenko che è stata la stella della franchigia italiana per diverse edizioni; ormai vive da qualche anno in America e credo che presto si batterà per il titolo mondiale. Uno dei migliori pugili che abbia visto combattere negli ultimi anni.
I grandi matches fanno bene alla boxe?
Aiutano sicuramente chi organizza, viste le enormi cifre che muovono. E ritengo, per citare un caso noto, il match Mayweather –Pacquiao abbia fatto felici molte persone, economicamente parlando, a partire dai due soggetti interessati. Poi però, se si dimostrano noiosi, non fanno certamente il bene del pugilato. Io ebbi l’opportunità di commentarlo e devo dire, in certi tratti era al limite dell’incommentabile, un match imbarazzante per l’assenza di contenuti tecnici. Mayweather senza dubbio ha vinto con pieno merito perché è riuscito a non cadere nella provocazione, dando qualche punzecchiata qua e là. Ma un match di rara bruttezza, ritmo basso, non c’era nulla di apprezzabile, davvero non riesco a pensare a chi possa essere piaciuto.
Grazie Fabio Panchetti e buon lavoro!!