Javier Saviola veniva chiamato il coniglio, “El Conejo”, quando scendeva sul prato verde. Era questo il soprannome del calciatore argentino che si è distinto sul fine degli anni Novanta e, con molti alti e bassi, è rimasto sulla scena mondiale nel corso dei primi anni del Duemila.
Centrocampista avanzato, come si è soliti dire oggi, un’ala secondo il termine canonico, Saviola ha vestito le maglie delle squadre più famose al mondo, avendo militato con Barcellona, Real Madrid, River Plate, Siviglia e Benfica, oltre ad aver indossato la casacca albiceleste della sua nazionale.
Il suo ritiro dal calcio giocato risale alla scorsa estate, e come buen retiro ha scelto il Principato di Andorra, il pcicolo stato cche si trova sui Pirenei dove svolge il ruolo di supervisore del settore giovanile del FC Ordino, compagine che milita nel massimo campionato andorrano.
Iniziata la carriera in patria, vestendo la maglia del mitico River Plate assieme ad un altro talento del calcio come Pablo Aimar, nel 2001 il Barcellona lo acquisto per la cifra record di 36 milioni di euro, con la speranza che ripetesse le gesta di un certo Diego Armando Maradona, che lo elesse a suo erede designato.
Il passaggio in Catalogna non fu dei più semplici, perché dopo aver aver conquistato il titolo mondiale Under 20 con la nazionale, la sua quotazione si impennò in maniera repentina. Sebbene valesse tanto oro quanto il suo peso, Saviola dovette scrivere una lettera ai giornali nazionali per poter convincere la dirigenza del River a dargli il via libera per l’Europa.
Lo sbarco in Spagna non è pari alle aspettative: sebbene raccolta 105 presenze con 44 reti in un triennio, i tecnici olandesi Van Gaal e Rijkaard non lo tengono in gran considerazione: il passaggio in prestito ai francesi del Monaco diventa obbligatorio per poter rivedere il campo da protagonista. Il rientro alla base dopo un anno è solo un passaggio di via per rimanere in Spagna, dove con la maglia del Siviglia conquista la Coppa Uefa nella primavera 2006.
Il 2006-07 sembra essere la sua consacrazione al Barcellona, dove però sta spuntando la stella di Leo Messi, che praticamente lo costringe a fare le valigie l’anno successivo, quando, a parametro zero, passa agli arci-rivali del Real Madrid. Qui sarà il tecnico tedesco Schuster a tenerlo lontano dalle folle; in un biennio solo 17 misere presenze (4 reti) lo convincono a rifare le valigie, emigrando in Portogallo al Benfica, dove viene nominato miglior giocatore del torneo nel 2009-10.
Poi il pellegrinaggio riprende: un anno al Malaga, poi in Grecia con l’Olympiakos, infine l’approdo in Italia con il Verona, dove in una stagione, con sole 15 presenze (1 goal) riesce a mostrare ancora lampi della sua classe. Infine il rientro in patria, nel ruolo di profeta al suo amato River Plate, con cui conquista nel 2015 la Coppa Libertadores. All’inizio del 2016, decide di abbandonare il calcio giocato ed appunto, si trasferisce nella tranquilla Andorra.
Tra le note curiose, il fatto di aver giocato in Champions League con ben 5 squadre diverse, Barcellona, Monaco, Real Madrid, Benfica e Malaga. Ha disputato una sola Coppa del Mondo, Germania 2006, dove ha raggranellato 3 presenze ed una rete contro la Costa d’Avorio. In totale sono state 40 le sue apparizioni con l’Argentina, con 11 reti al suo attivo.
Vinse l’oro alle Olimpiadi del 2004 ad Atene e viene inserito da Pelé nella lista dei FIFA 100.
Perchè il soprannome “il coniglio”
Il diminutivo “El Conejo” (il coniglio) venne attribuito a Saviola da giovanissimo quando militava nel River Plate. A chiamarlo così fu Germán el ‘Mono’ Burgos, l’attuale assistente di Pablo Simeone all’Atletico Madrid, che glielo appioppò per via della dentatura, i due incisivi abbastanza pronunciati e la velocità con cui era solito toccare il pallone per volare via dalla marcatura degli avversari.