Non è cosa comune che un ciclista venga espulso dal Tour de France, la corsa più grande e più importante dello sport delle due ruote,. Può capitare certo, come nell’edizione 2017 quando il campione del mondo Peter Sagan è stato rispedito a casa per una scorrettezza in volta, ritenuta indegna dai commissari di gara e che, per qualcuno, grida ancora vendetta.
Ma quel che accadde nel corso della Grand Boucle del 1991 ha dell’incredibile. A prima vista, l’esclusione dello svizzero Urs Zimmermann parve decisione frutto della follia, ovvero del mancato rispetto di un codice d’onore non scritto.
Il ciclista elvetico infatti aveva appena rifiutato di utilizzare l’aereo per effettuare il trasferimento nel giorno di riposo da Nantes a Pau dopo l’undicesima tappa, preferendo la più comoda ( a suo parere) automobile.
Si diceva che Zimmermann, che era giunto terzo nell’edizione della corsa gialla del 1986, avesse paura di volare, cosa comune a diversi sportivi come ad esempio l’olandese (stavolta non volante) Dennis Bergkamp. Pertanto il corridore della Motorola, additando anche di aver bisogno sull’aereo di maggior spazio per sè, quasi un comportamento claustrofobico, si rifiutò di salire sulla scaletta. Questo volo non s’ha da fare, parafrasando una frase ben più nota. Peccato che gli organizzatori della corsa non pensarono la stessa cosa e lo espulsero senza possibilità di appello.
La mattina seguente, alla partenza della frazione che avrebbe condotto la carovana da Pau a Jaca in Spagna, i corridori decisero di protestare. Oggetto del contendere non era la sanzione comminata allo svizzero, ma la regola introdotta in quella stagione sportiva che obbligava i ciclisti ad indossare il casco in corsa.
Quando la bandierina dello start si abbassò, i corridori rimasero al loro posto, senza un colpo di pedale. Dopo circa mezzora di protesta, il capo della polizia locale fece la voce grossa, intimando che avrebbe riaperto le strade al traffico se la gara non fosse partita.
Intanto il buon Urs si trovava all’aeroporto, cosa strana, per volare in direzione Svizzera, verso casa, smentendo con i fatti i suoi timori verso il cielo, quando ebbe notizia della protesta in atto. Trovandosi a bordo dell’auto del suo team, questa fece dietrofront e si diresse a tutta birra verso la linea di partenza, con il corridore che si cambiò mentre si trovava a bordo.
Stranamente, gli inflessibili giudici riammisero in corsa Zimmermann, che si rimise in carovana come se nulla fosse successo. C’è un ma: il suo direttore sportivo Jim Ochowicz venne espulso al termine della tappa. Come mai?
“Ebbi a che ridire con A.S.O.,” disse Ochowicz. Ed allora gli risposi seccato: “O.K., invece di buttare fuori lui ( Urs), cacciate me. E così fecero, al termine della frazione.
Zimmermann terminerà l’edizione del Tour in 116-esima posizione, distante 2h 13′ 58″dal vincitore, lo spagnolo Miguel Indurain. Si ritirerà al termine dell’annata seguente, dopo nove anni trascorsi nel mondo professionistico.
La carriera di Jim Ochowicz prenderà poi una piega decisamente positiva, lanciando la stella (poi decaduta) di Lance Armstrong. Attualmente, da ben 10 anni, è direttore della BMC,, la compagine elevetica che fa parte del Pro Tour.